Annalisa Spadola intervista Moak

Annalisa Spadola: la storia di Moak, fra odore di caffè e cambiamento

Primo articolo della rubrica “People”, inauguriamo la serie di interviste a clienti e partner che ci hanno ispirato con la loro storia. Professionisti che dedicano le proprie energie a progetti innovativi. Differenti fra loro, accomunati dalla voglia di scardinare il proprio settore con una ventata di freschezza.
In occasione dei cinquanta anni di attività, abbiamo deciso di iniziare da uno dei nostri clienti più importanti, un brand che fa grande il nome della Sicilia in tutto il mondo, Caffè Moak.

Nato nel 1967, da un piccolo laboratorio siciliano a conduzione familiare, Caffè Moak è divenuto un marchio globale nel settore della torrefazione e distribuzione del caffè. Un’eccellenza italiana, che riesce a mantenere un legame profondo con il territorio in cui si è sviluppata, Modica.

Scopriremo di più su questa realtà, con uno dei suoi volti più importanti, Annalisa Spadola, responsabile marketing e figlia di Giovanni Spadola, presidente e fondatore del gruppo.

 

Chi è Annalisa Spadola?

Questa è una delle domande più difficili a cui rispondere, perché io credo che ognuno di noi sia talmente ricco di sfaccettature che
è spesso difficile riassumerle per farne un identikit semplificato. In fondo l’unicità dell’essere umano scaturisce proprio da questa combinazione infinita di sfaccettature. Proverò dunque a raccontarmi attraverso le mie passioni. Dopo gli studi magistrali mi sono trasferita a Roma per studiare grafica pubblicitaria, marketing e comunicazione aziendale. Era il 1994 e quando si studiava marketing si cominciava analizzando il sistema giapponese e a fare grafica si perdevano nottate con l’inchiostro di china e la vista fra le grazie dei Bodoni. I primi Mac, con la mela colorata di arcobaleno, erano fra le mani di pochi.

Dunque, il marketing e la grafica divennero da subito una passione, mai tramontata. Provengo da una famiglia in cui il lavoro è divertimento e, anche, una delle vie per definirsi, per cui avevo una gran voglia di buttarmi nel mondo del lavoro. E lo feci appena finiti gli studi. Ho sempre cercato di combinare le mie passioni (l’amore per le parole, il cinema, l’illustrazione, la musica…) con il mio lavoro. Sono fermamente convinta che qualunque lavoro tu faccia, devi metterci un po’ di te. E non sono d’accordo con chi dice che per alcuni tipi di lavoro questo non vale. Le cose possono essere fatte in tanti modi diversi. La differenza è sempre stata fatta dalla variabile umana.

 

Hai un motto o una frase speciale che usi per motivarti?

Non è un motto o una frase speciale, ma un pensiero: In questo mondo c’è davvero spazio per tutti, perciò non ha senso calpestarsi a vicenda. La cooperazione, nel rispetto dell’altro, può produrre cose meravigliose.

 

Puoi raccontarci Moak attraverso la tua crescita professionale in azienda?

Quando ho cominciato a lavorare, nel 1997, mi sono occupata di diverse cose, ma in modo principale di ciò per cui mi ero formata. E all’inizio, ero una sorta di tuttofare in tal senso. Per alcune cose mi appoggiavo ad agenzie pubblicitarie esterne, ma pian piano ho cominciato a fare tutto internamente. E nel frattempo l’azienda cresceva a velocità. La nostra è sempre stata un’azienda incapace di star ferma. È nata così con mio padre, il fondatore, e ha cominciato a correre sempre più velocemente con l’arrivo di mio fratello. Per cui, ad un certo punto, si è resa necessaria la ricerca di qualcuno che potesse darmi una mano. Ed è arrivato Marco Lentini, un professionista della comunicazione visiva, che ha apportato, e apporta ancora oggi, grandi migliorie nella definizione del brand e nella sua gestione organizzativa. Dopo non molto, a lui si è affiancato Sergio Iacono, un fiume in piena di creatività che, insieme a Marco, ha lavorato per far arrivare sempre di più l’essenza Moak nei punti vendita che servono il nostro caffè, aiutandoci a comunicare con l’utente finale. Poi Eleonora, Sara, Stella, Gianluca, Paolo e nel giro di qualche anno ci siamo ritrovati un vero e proprio dipartimento interno di professionisti che ogni giorno cerca strade poco battute per dar voce a Moak. È così che è nata for[me]moak. Che naturalmente è solo una parte di ciò che è Moak. Ma qui, ogni dipartimento, ha questa vocazione: innovare, ricercare percorsi che garantiscano sempre un livello altissimo di qualità, crescere e migliorarsi costantemente.

Quale significato ha per te Moak?

Ecco, probabilmente in questo posso essere sintetica e dire che per me Moak è profumo di caffè misto all’odore delle mani di mio padre.

 

Nel lavorare per un’azienda alla quale si è così legati, prevale il cuore o la ragione?

Questo credo sia l’eterno dilemma delle aziende che nascono a conduzione familiare. Io credo che la verità stia sempre in mezzo e quindi che bisognerebbe dosare entrambe le cose. Ma credo anche che quando un’azienda cresce, bisogna essere in grado di capire che la responsabilità cresce di pari livello. Ciò significa che, seppure il cuore non possa essere del tutto bandito dalle scelte che si fanno, bisogna comunque mantenere una lucidità costante che ti consenta di tenere presente molti aspetti e di garantire un’economia di massima, tale da permettere all’azienda di restare solida e di camminare sulle proprie gambe.

 

Quali motivi vi hanno portato a scegliere Paradigma?

Una delle ragioni che ci ha fatto scegliere Paradigma è che abbiamo riconosciuto nel gruppo che la compone un linguaggio a noi familiare. Una grande voglia di crescere e un concetto di team molto forte e affine al nostro.

 

Com’è stata la collaborazione con Paradigma e quali traguardi avete raggiunto insieme?

Siamo ancora all’inizio di un percorso, ma abbiamo già sviluppato insieme il sito del brand Marsalì, che fa parte del gruppo Moak e abbiamo in cantiere molto altro.

 

 

Quali sono i prossimi obiettivi da raggiungere insieme a Paradigma?

Stiamo già lavorando al restyling del sito di MPTraining, la scuola di formazione Moak, cercando di renderlo maggiormente fruibile per le differenti tipologie di target che vi approderanno: mondo della caffetteria, popolo del bere miscelato, eventi, social, etc…

 

La vostra è una storia di successo. Credi sia ancora possibile per una piccola realtà locale emergere a livello nazionale e internazionale?

Assolutamente si. È vero che il mercato di oggi è molto complesso per tutta una serie di fattori (crisi economica, sovraffollamento di offerte nelle più svariate tipolgie, etc…), ma resto dell’opinione che un lavoro di qualità, unito ad un modo di pensare non convenzionale e ad una buona capacità di analisi delle informazioni, possano ancora oggi essere una chiave di successo. Fondamentale però resta l’umiltà di osservare i mercati, di assorbirne i movimenti e di tradurne i segnali.

 

Cosa consigli al direttore marketing di una piccola azienda? Quali passi concreti può compiere per sperare nel successo?

Prima di tutto di conoscere bene l’azienda per cui si lavora e le potenzialità di sviluppo concrete che può avere. E poi di analizzare bene il mercato di riferimento, la concorrenza e, naturalmente, di non innamorarsi delle proprie idee ma di attorniarsi di persone capaci e avvezze ad un pensiero trasversale

 

Quanto conta il team per il successo di un’azienda?

Per noi è fondamentale. L’azienda è fatta prima di tutto dalle persone. Le macchine sono gestite da persone. Da cervelli e poi da mani. Un team di successo, per me, è un gruppo di persone che hanno possibilità di esprimersi liberamente e che nella diversità, nel rispetto reciproco, sanno trovare un ritmo che funziona.

 

Le tue speranze per il futuro?

La mia speranza per il futuro di quest’azienda è che possa conoscere ancora molti decenni luminosi ed entusiasmanti, come le cinque decadi che quest’anno festeggiamo.